Road To Ruin Inizio 91

NESSUNO AVREBBE MAI IMMAGINATO, QUALCHE ANNO FA' CHE I NEGAZIONE AVREBBERO TROVATO CONSENSO UN P0' IN TUTTO IL MONDO, EPPURE QUESTI RAGAZZI TORINESI SONO L'UNICA FORMAZIONE ITALIANA, AL DI LA' DELLE MAJOR, A TROVARE UN CERTO CONSENSO Di PUBBLICO IN TUTTA EUROPA.
MEGLIO MEDITARE!
Intervista a cura di Sabrina Baracetti e Paola Iasci

I Negazione sono oggi il gruppo italiano di hardcore che può vantare i maggiori riconoscinenti all' estero. Ignorati per molto tempo dalla critica ufficiale italiana, si sono costruiti al di fuori dei nostri confini il nome di band tra le più esaltanti del panorama internazionale. Il loro è un coinvolgente miscuglio di punk, hardcore, trash e "metallo"; il tutto eseguito con una particolare attenzione per la potenza del suono piuttosto che per la potenza di esecuzione. Una ricetta esplosiva che emana un'energia fisica, palpabile, che non di rado riesce a divenire anche lirica.
Quando uscì "Little Dreamer", secondo LP della band, tra l'entusiasmo generale, non erano in pochi a chiamarli i nuovi Husker Du. Oggi, conclusosi il tour americano accanto ai canadesi DOA, esce ii terzo LP dela band embleticamente intitolato "1OO%"; e i Negazione con tre album all'attivo sono il primo gruppo italiano ad essere invitato al "New Music Seminary" di New York. Al di là delle etichette i Negazione dopo otto anni di lavoro, di passione e di coraggio hanno raggiunto quella che si può definire una statura internazionale non comune a nessun altro gruppo underground italiano. In occasione del concerto tenuto allo Psychodrome di Udine, abbiamo fatto due chiacchere con Marco Mathieu, bassista dei Negazione.
Sentiamo cosa ha da dirci.

D.: Utilizzando il titolo di un brano del vostro ultimo album si potrebbe dire che ornai i Negazione non sono più in bilico...

R.: Ebbene sì, siam caduti del tutto!

D: Percorrendo le strade della vostra musica attraverso tre album quali sono state le tappe più importanti del percorso musicale dei Negazione?

R.: Non credo né ai percorsi musicali, né agli album della maturità! Il nostro primo concerto lo abbiamo fatto nel febbraio del 1983 e si potrebbe quasi dire che stasera è l'anniversario degli otto anni dei Negazione. In questi anni ci siamo evoluti, siamo andati avanti sulle nostre impostazioni musicali passo per passo, conoscendo meglio i nostri strumenti e tutto quello che ci stava attorno, ma nello stesso tempo abbiamo sempre creduto in quello che facevamo sin dal'inizio. Tra il 198B e il 1990 abbiamo avuto il nostro periodo di crisi: eravamo costantemente senza batterista. La sfiga continua era il nostro motto! L'ultimo album lo abbiamo chiamato così perché "100%" si scriveva sui muri di tutti i posti dove andavamo a suonare. Siamo noi al 100%, rappresenta quello che siamo veramente. A chi non piace ci dispiace. A noi piace tantissiimo e lo dimostriamo sul palco mettendocela tutta. Questa sera è stato bellissimo, uno dei concerti più belli che abbiamo fatto quest'anno (dalle nostre parti hanno suonato nell'autunno '89 al Cathouse di San Giovanni al Natisone, poi al Vinile al Bassano).

D.: Ai vostri concerti la gente "vive" la vostra musica anche e sopratutto fisicamente, salendo sul palco e mischiandosi ai musicisti...

R.: Fa parte dell'idea con cui è iniziato tutto quanto! Noi vogliamo distruggere il concetto dell'artista separato dal pubblico. Sono contento che stasera tutti abbiano avuto la possibilità di divertirsi; ma non parlo di un divertimento volto a capire quello che stiamo dicendo e patendo sul calco. I Negazione sono quattro persone che suonano, soffrono e stanno male, buttano fuori la loro anima. L'importante è avere la forza e la voglia di esprimere quello che siamo.

D.: E la storia di Torino, isola felice per i gruppi underground, con le sale di registrazione gratuite?

R.: Quella dell' amministrazicne comunale è stata una politica demagogica e fasulla. La situazione musicale torinese non è diventata quella che è adesso per le facilitazioni del comune, ma perché il solo fatto di vivere in una città sì particolare, ma anche grigia e opprimente ha spinto molti gruppi a suonare. Noi non siamo mai stati inclusi negli annali degli amministratori locali - vedi Informagiovani - eppure adesso ci vengono a cercare.

D.: E per quanto riguarda la vostra affermazione all' estero?

R.: Non ci siamo mai considerati un gruppo italiano, bensì europeo, ma non certamente nel senso dell'Europa del '92! Noi abbiamo sempre viaggiato molto in Europa e ci siamo accorti che i problemi di Amsterdam o Berlino sono simili a quelli di molte grosse città del Nord Italia. Andare in giro a suonare significa abbattere quelle barriere che l'Europa del '92 non riuscirà ad abbattere.
Dopo il tour europeo in Olanda, Danimarca, Germania e Inghilterra riusciamo a suonare
di più in Italia e questo è un paradosso. Non ci curiamo dell'aspetto economico che un ' affermazione europea può comportare, né della promozione pubblicitaria: è compito di altri darci spazio nell'ambito dell'informazione musicale, da parte nostra pensiamo sia importante preporre delle cose.

D.: Essendo il gruppo italiano più proiettato all'estero, cosa ne pensate del rock italiano?

R.: Noi non siamo né i Litfiba, né i CCCP?. Al fenomeno rock italiano non ho mai creduto: in quegli stess anni c'era l'hardcore italiano che è stato il primo fenomeno musicale così estremo e radicale da essere esportato all'estero. E parlo dei Kina, degli Impact, degli Indigesti... Peccato che poi il circuito sia rimasto all'ombra di altri fenomeni ben più vistosi. Noi andiamo in America, ma andremo, spero, anche in Australia e in Giappone. Non vogliamo avere confini territoriali. Tutte le cose che abbiamo fatto ce le siamo guadagnate alla nostra maniera. Siamo un gruppo che fa della musica e ha delle idee.

D.: Definiresti ciò che suoni troppo difficile?

R.: Grazie a Dio adesso l'hardcore non sembra più una malattia o un film porno. E' una questione di cultura musicale... Gli Anthrax oppure i Litfiba, che adesso giocano a fare quelli duri - la chitarrina un po' più metal e la foto col pelo - è da un paio di anni che riempiono i palazzetti. Noi siamo riusciti a far passare in Italia un concetto di musica più dura, che prima non c'era. Per me l' importante è che ho fatto un concerto, di cui sono soddisfatto e che il prossimo sia ancora così. In fondo siamo un gruppo punk, anche se è buffo dirlo nel 1991. Siamo tutti dei punk: non è definire un tipo di musica, ma è un tipo di persone. E noi lo siamo!